Anna Ester Miazzi | Poesie

 

RITRATTO

Dolce eri e sei.
Quanto entusiasmo nella posa
di questa cara vecchia fotografia!
Busto eretto,
fiero della bandierina di gruppo,
sorridi e mi par di sentirti
correre e ansimare per i boschi
o sgattaiolare via dal granaio del collegio
con le tasche stracolme di noci.
Orecchie a sventola,
abiti modesti,
due fessure al posto degli occhi
che brillano come stelle.
Ti penso rannicchiato sotto le coltri,
nelle lunghe gelide notti
dentro al gran camerone
e mi avvicino a te che dormi
come per scaldarti a distanza d’anni.
Ma più ti guardo,
più mi trascini nei ricordi gioiosi
l’acqua limpida del ruscello, il fuoco…
i pochi spiccioli, la misera cena …
ma la Domenica, il budino!
Intatto sei,
come se il dolore non avesse fatto in tempo
a scalfire il tuo cuore,
meraviglioso amico, amante,
compagno d’avventura.

 

PENSIERO

E’ qualcosa che mi lancia fuori
dal piccolo angolo di mondo che conosco,
non sono qui né altrove
ma osservo il globo sospeso nel vuoto,
da un punto lontano, oltre l’atmosfera
e scruto l’Uomo.
Assaporo l’istante e l’Assoluto che lo impregna,
mi muovo tra le pareti di cielo natie
e questo punto d’osservazione più vicino
al mistero che avvolge il genere umano.
Il rumore della millenaria rotazione
è come il cigolio lento d’un carro
che da un momento all’altro, può deragliare
verso vie planetarie sconosciute;
mentre ad alta quota, tra le cime innevate,
è raccolta la purezza di pensiero dell’umanità,
che ogni primavera, attraverso l’acqua,
ritorna ad abbeverare le menti.
E mi pervade la felicità d’essere più che mai vivo,
d’una vita cosciente, donata da mani generose,
d’una vita inconsistente, che un nulla può spezzare,
d’una vita che non si piega alla materia
attraverso la saggezza dell’anima.
E sento così di non essere solo me stesso
ma parte dell’Uomo cosmico,
Uomo pensante che vigila
su se stesso e sulla Creazione.

 

 

LA CRONACA DI TE

La cronaca, oggi, parla di te,
di te morto a tredici anni,
suicida.
Non t’avevamo insegnato
che la vita vale al di sopra d’ogni sofferenza?
Essa è il respiro lieve del mattino,
è la luce soffusa nella stanza,
è lo sguardo solo d’ogni uomo.
“Lasciarti mondo…
io vivrò, se l’anima è immortale.
Ci saranno pure altri modi,
altri uomini così?”
Chi fosti, chi sono, chi siamo,
quando il nulla s’è fatto carne
e terra e fuoco e aria?
Per quanto ancora respirerò,
respireremo, mi chiederò,
ci chiederemo? Dove andremo?
Ogni uomo che muore
è un universo che scompare
e questo pullulare di vite
che furono, che sono e saranno
è la legge del rinnovamento,
della trasformazione.
Ma la morte non dirà
l’ultima parola, ragazzo mio,
di certo ci ritroveremo
e allora tutto sarà chiaro.

 

LIBERTÀ

Cosa mi libera?
Conoscermi e per questo fermarmi.
Cosa mi libera?
Farcela a dispetto dell’indifferenza.
Cosa mi libera?
Il rifiuto della stupidità.
Cosa mi libera?La passione per la vita.
Cosa mi libera?
Che amo ciò che più mi sfugge di te.
Cosa mi libera?
Immaginare i ghiacciai perenni sciogliersi,
voler entrare nel nucleo della terra,
desiderare l’Assoluto che mi creò.

PENA DI MORTE PER CHI

quel poco d’uomo rimasto
è ossessionato da un giorno qualunque
che verrà, lo sa da tempo,
quando lo sportellino della gabbia
s’aprirà per un ultimo grido
sarà anche in quell’esile istante
intontito, che i ricordi correranno
impazziti nelle vene
e si odierà per quel desiderio disperato
e crederà a una parte di sé per sempre viva
mentre verrà spinto
verso un silenzio senza lacrime

 

 

CI SARANNO COSE

Ci saranno cose che scalderanno il cuore
quando sarai lontano
una parola, uno sguardo, un sorriso
ripensare alle premure che avesti,
al calore dei tuoi complimenti,
lasciare la nostalgia per la riconoscenza.
Ci saranno cose che scalderanno il cuore
quando sarai lontano
che abbiamo parlato a lungo
anche quando non c’era il tempo,
pregato insieme, condiviso il cammino;
che mi hai sostenuto quando cadevo
senza farne in seguito parola,
che mi hai spronato ad essere sempre me stesso
anche se controcorrente e tu eri vicino,
che ci siamo voluti bene e ancora ce ne vorremo.
Ci saranno cose che scalderanno il cuore
quando sarai lontano
ricordare che mi sentii offeso ma eri solo sincero,
che ti giudicai ma attesi in silenzio di capire,
che volevo chiamarti ma temevo di disturbare,
volevo scriverti ma temevo di ferirti,
che mi hai reso più saggio col tuo esempio,
che sono stato felice in tua compagnia.
Ci saranno cose che scalderanno il cuore
quando sarai lontano
che so di non aver meritato la tua amicizia,
non perché l’abbia tradita
ma per non essere stato sempre vicino
e ti ringrazio d’avermi dato fiducia lo stesso;
che siamo stati a lungo senza parlarci
senza però parlare male l’uno dell’altro
e ti ringrazio d’avermi aspettato
senza forzare la mia libertà,
soprattutto ti ringrazio
d’avermi chiamato “amico”.
Ci saranno cose che scalderanno il cuore
quando sarai lontano
una telefonata, una lettera, una foto di come sarai,
un momento di silenzio, un pensiero,
sapere che la vita è una strada che ci porta con sé
ma anche che puoi contare su di me,
sapere che ciascuno ha la sua croce
ma anche che vorrei soffrire al posto tuo.

 

 

VENEZIA, UN ADDIO

(dedicata a un’amica)

Quanta gente nella piazza
ognuno diverso.
Quanti corpi sessuati
nell’aria calda della laguna,
belli o brutti
appagati o no.
Tra tanti,
i tuoi occhi
che non guardano me.
I tuoi occhi non guardano me.
Un botto,
un secondo e un terzo,
poi esplodono i fuochi del Redentore.
Fusi argentati pieni di vita,
corolle fresche e profumate
che mi lasciano indifferente.
Ed ecco che…
fili dorati
simili a lunghi trucioli
scendono
a più di mille
dal cielo sulla laguna,
sino a lambire il mare.
Danno corpo
a un’immensa cupola divina
che si staglia
maestosa
contro il nero della notte.
Per un istante
credo che Dio
possa uscire per noi,
che questa estasi dolcissima
di luci e colori
non possa essere che il preludio
alla sua rivelazione:
“Eccomi”.
Ma è un istante
e l’abbraccio dello spazio infinito
allucinante effetto di stelle cadenti.
Tra mille,
i tuoi occhi non guardano me.

 

 

ESITAZIONI

Sfuggo i tuoi occhi
per non rivelarti qualcosa
di me.
Resti in silenzio
non ti capisco.
Vorrei parlarti
ma dirti cosa?
C’è forse un filo d’erba
che ci unisce?
Io non ti conosco
tu non sai nulla di me.
Ciao…ciao.
Chissà… domani.

 

 

LA TAVOLA

La tavola è incontro,
gioia e calore.
E’ solida
per resistere ai giochi dei bimbi.
E’ lunga
perché ci sia posto per tutti.
E’ al centro della cucina
perché invita a sedersi vicini
e a guardarsi in faccia.
E’ bello parlarsi
mentre, attorno alla tavola
si forma una catena umana
unita dall’amore.

 

 

RICORDI

Guarda
quel giovane pesco in fiore
dietro la nuova casa!
I gracili rami scuri,
nelle giornate uggiose,
s’aprono verso il cielo
come a pregare Dio.
Amo
questo posto e tornerò!
Sul verde vivido dell’erba bagnata,
contrapposto al nero della terra satura d’acqua,
non fanno rumore i nostri passi,
come aliti di vento,
accompagnano sguardi rapiti
tutto d’intorno.
E tutto m’è caro qui,
il volto di chi mi ha generato
e il gesto lento del lavoro dei campi;
l’abile muoversi, lungo i filari,
delle mani callose d’un padre
e il ricordo delle mie piccole mani
che carezzavano un tempo
le stesse larghe fronde
cariche d’uva acerba.
In lontananza, vecchi arnesi rurali ammucchiati
sotto uno stanco portico di lamiere,
sprigionano ricordi di ineluttabili fatiche estive.
L’anima libera, nell’aria dolce della sera,
viveva momenti di serena estasi,
su campi di granturco appena tagliato,
tra chicchi fecondi sparsi ovunque
come resti d’un banchetto divino.
Ero un tutt’uno
con le enormi zolle fresche d’aratro
su cui correre a piedi nudi,
con la polvere del fieno essiccato
che riempiva le narici,
col sudore nero della sera
che sposava l’acqua.
Guarda
quel giovane pesco in fiore,
la lotta ardua dei suoi teneri fiori rosa
bramosi di fruttare!

 

 

SENZA TITOLO

Quando immergo le mani nella terra
divento ricca e allegra,
ricordo i giochi sulle zolle,
ripeto le nenie della sera,
la mia ira si smorza
nel sudore impastato seminato
poi, quando il sole più non acceca,
e’ dolce riposare.

 

 

AUTUNNO

C’è aria di attesa quando arriva l’autunno!
Gli ultimi frutti dei campi
gridano il miracolo d’esistere,
così, gronda l’uva dai tralci,
pesante del succo che inebria,
fin quasi a spezzare la vite.
Il vento corre tra i pampini,
ma la materia pesa
e non sfugge all’occhio umano la sua sorte.
Ah, il vento, come si diverte con le fronde!
e intorno, è tutto un piegarsi
di gambi, d’arbusti, di rami minori,
un alitare gioioso per l’uomo.
Ora che la chiassosa estate se n’è andata,
fa concertare le foglie secche del granturco
con quelle piccoline dei pioppi
che, come mani di bimbo,
si levano a fare ciao.
Fra loro, s’odono gli echi
delle parole che s’infrangono
contro le pareti dell’atmosfera:
un’ingiuria che ha vergato l’aria,
i discorsi tanto per chiacchierare,
le soavi preghiere nel respiro di bocche diverse.
Ai confini con l’inverno,
il sole d’autunno dona dolce tepore
che appaga il bisogno di serenità.

 

 

ACQUA

Cade la pioggia
acqua su acqua
acqua che lava l’acqua
riempie pozzanghere
alimenta rivoli
che veloci corrono verso un ignoto destino.
Bagna fiumi
inzuppa panni dimenticati sul filo,
spegne i falò sulle spiagge
e quelli lungo le strade periferiche di notte.
Acqua su acqua
canto dell’acqua
a milioni le gocce
uniscono il cielo alla terra
suicidio dell’acqua
che si sporca
si infanga
muore e rinasce.
L’anima è acqua
la pioggia è suono
e nel chiuso di una stanza
mi raggiunge,
da dietro i vetri,
sussurrandomi il passato
perché è vecchia come il mondo
e c’era anche allora.
Acqua su acqua
acqua chiama acqua
canto dell’acqua
sinfonia d’autore
dirige il vento,
l’anonima orchestra molecolare
schiaffeggia per ore quel tetto
sino a farlo piangere
impotente
di fronte alla prepotenza dell’acqua.
Nel deserto più deserto dell’inconscio
c’è un pozzo limpido
al quale mi disseto.
Nel gorgoglio della fede
c’è il Dio vivo
che mi disseta.

 

 

OTTOBRE

La natura è mia madre.
Stasera mi ha accolta
col suo corpo lacerato
dalla lama d’acciaio,
nell’aria odore
di stoppie bruciate.
Mi muovo alla ricerca
tra ceneri nere,
chicchi dorati,
foglie secche
e qualche pannocchia.
La natura è mia madre,
sa di me.

 

 

NATALE

Era la notte di Natale
piangevo i miei dolori
quando
d’improvviso
il tuo volto sconosciuto
più m’abbandonava:
a Natale tu muori.
Primo (hai cinque anni)
Secondo (hai fame)
Contorno (non ce la fai più)
Frutta (ridicolo)
Dolce (ridicolo)
Caffè (ridicolo)
Le nostre credenze
vomitano cibo
e le discariche d’immondizia
sono resti di banchetti
cui non fosti invitato.
Con l’alba
si colorano di sogni
i miei pensieri,
si colora di gelo
il tuo viso.

 

 

GOCCIA DI PIANTO

E mi porto dentro
il mio dolore
-goccia di pianto nell’infinito-
nel sapere tanto sangue
sparso nel vento.
E Tu, o Dio, che accoglierai
questa carne non amata
lo farai con pietà
per questa umanità
alla ricerca del benessere,
scolpita nell’ansietà
del non vivere
abbastanza.

 

 

QUANDO MI ADDORMENTERÒ

Quando mi addormenterò,
vivrò in te,
nei tuoi discorsi
su di me,
nei tuoi ricordi
tutti.
Ma raccontami
soprattutto ai bambini,
a loro
perché sappiano
chi era la mamma.
Quando mi addormenterò
sarai lì
a difendermi (come sempre)
dai discorsi inutili,
tu che mi conosci.
Dirai ai bambini
che vi ho amati più di tutto,
più che ho potuto,
e che sarò
l’Angelo Custode Speciale!

 

 

EREDITÀ

Nella dolce brezza della sera,
ti racconterò di me.
Ti parlerò di quando ero bambino
e mio padre non lo conoscevo.
La mamma mi insegnava a ringraziare Dio per il pane
ed io chiedevo perché non facesse bastare i soldi.
Guardavo la povera gente cantare credendola contenta
non sapevo che, troppo spesso, covava la rabbia.
Ti parlerò di quando ero ragazzo,
una bicicletta bastava per conquistare il mondo.
La settimana lavoravo sodo e la Domenica a Messa.
Ti parlerò di quando ero uomo
e il sorriso di mia moglie sapeva di fatica
ma il duro lavoro nulla toglieva all’amore.
Ti lascio come eredità
queste mani deformate,
la miseria vissuta nell’umidità di una stanza,
la fame che non dà tregua,
i figli che emigrano,
questi occhi
affinché tu possa ricordare un tempo
che sembra passato
ma per molti uomini è ancora reale.

 

 

MADONNINA

Guardarti negli occhi stanchi, o Madre
e sentirti forte della fatica quotidiana
imbevuta d’amore.
Madonnina, quanta tenerezza mi fai
per quel cuore che non smette mai di voler dare.
Per sempre, ti dirò: “ Grazie”!

 

 

CHE BELLO

Che bello ritrovarsi la sera
tutti felici attorno alla tavola imbandita,
non sono stanca dei vostri capricci,
ascolto estasiata i racconti che sovrapponete
nella gara di chi vuol essere a me più caro.
Posso promettervi un dono,
tanto ho guadagnato abbastanza
da poter sprecare qualcosa.
Che bello ritrovarsi la sera,
senza la fatica di educarvi,
la pazienza di spiegarvi,
tutti felici vi lascio correre
come cavalli bradi nel prato.

 

© Anna Ester Miazzi